
Dialogo ed esperienze a confronto tra le tre città riparative di Italia presenti al seminario promosso da EPALE a Cagliari


Durante il seminario EPALE “La giustizia riparativa fra un diritto che cambia e un territorio che costruisce“, che ha avuto luogo a Cagliari il 27 marzo, è stato approfondito il ruolo delle città riparative grazie alla presenza della prof.ssa Patrizia Patrizi dell’Università di Sassari e di Cristina Vasilescu, Ambasciatrice Erasmus+ EDA, ricercatrice e precedente coordinatrice del Gruppo delle Città Riparative del Forum Europeo per la Giustizia Riparativa che ha tra gli obiettivi quello di riunire le varie esperienze europee sul tema della città riparative.
Al seminario erano presenti tre città riparative d’Italia: Tempio Pausania, Como e Lecco. La tavola rotonda, coordinata dalla dott.ssa Vasilescu, é stata l’occasione per discutere insieme su come si costruisca una città riparativa o meglio su come si possano intercettare, prevenire e gestire in maniera riparativa i conflitti nella comunità per rigenerare le relazioni e promuovere il benessere personale e collettivo.
Ma che cos’è una città riparativa? Come si costruisce?
Riproponiamo l’intervista che il CSV Isubria Como ha fatto a Cristina Vasilescu durante l’XI Conferenza internazionale dell’European Forum for Restorative Justice svoltasi a Sassari nel 2022, alla quale è seguita la conferenza di Tallin nel 2024. L’intervista che segue è tratta dal sito cvslombardia.it.
Come costruire “città riparative”
Le città riparative nel working group internazionale
Il working group delle città riparative è composto dai rappresentanti di varie città europee. In Italia Tempio Pausiana è stata la prima a dare vita a varie iniziative di comunità, per esempio con l’inclusione del carcere di massima sicurezza che aveva generato conflitto nella comunità stessa; da questo intervento ne sono germinati altri nella scuola pubblica e per iniziativa del Comune. A Tempio Pausania è stato poi creato un Ufficio di mediazione. Progetti di giustizia riparativa si sono poi diffusi a Lecco, dal 2012, poi a Como a partire da alcuni ambiti e territori specifici, per esempio con il Progetto Contatto e i corpi intermedi a Fino Mornasco e nel quartiere di Rebbio. Le altre città “riparative” sono Leuven in Belgio – in cui si è formalmente costituito un network di soggetti che opera per la diffusione dell’approccio riparativo con finanziamenti erogati dal Comune – Wroclaw, Polonia, dove si è attuato un processo “top down” con iniziative organizzate dalla società civile, per poi avviare un Centro per la giustizia riparativa comunale. Restorative City, e quindi parte del gruppo, è anche Tirana, in Albania, che ha ospitato un precedente Forum Europeo. Infine, Bristol, in Inghilterra, Restorative City che ha a lungo lavorato sul tema in diversi tipi di interventi di mediazione dei conflitti a livello di comunità-quartieri e dove è nato un gruppo specifico, il “Youth Offending Team”, dedicato ai minori dai 10 ai 17 anni. A Bristol è nato anche un servizio che implementa progetti di giustizia riparativa e servizi specifici su discriminazione di genere, disabilità e odio razziale. C’è poi un servizio di mediazione sul luogo di lavoro e nelle organizzazioni chiamato “Resolution at work” e, infine, un intervento specifico che mira ad avvicinare ebrei e musulmani attraverso l’arte, il teatro, workshop e interventi nelle scuole. La referente di Bristol ha proprio riportato esperienze di scuole riparative a tutti gli effetti.
Che cosa fa il Tavolo delle città riparative
L’obiettivo è riunire le varie esperienze europee sul tema della città riparative per cambiare degli apprendimenti – spiega Cristina Vasilescu – Perché c’è bisogno di una città riparativa e come si costruisce una città riparativa sono state le domande guida. In Europa esistono altre tipologie di città che, se non proprio sovrapponibili, hanno molti punti di contatto con le restorative cities. In Olanda, per esempio, esistono le “Città pacifiche” il cui obiettivo è costruire relazione armoniose tra gli abitanti. Di recente è nato un movimento europeo, “Le città per i diritti umani”, a cui hanno aderito una ventina di città. Si tratta di premesse che sono molto simili a quelle di una restorative city. Uno dei temi emersi è stato se sia necessario definire cosa è città riparativa o se è meglio lasciare la definizione aperta per includere varie prospettive… Il punto di mediazione che abbiamo trovato dopo il confronto è che ciascuna città deve darsi la propria definizione e lo deve fare insieme agli abitanti, non sono il Comune o un soggetto terzo che definiscono in astratto cosa è città riparativa ma i cittadini stessi, secondo i propri bisogni e le specifiche finalità che si vogliono perseguire. Portare l’approccio riparativo ai diversi ambiti, alle diverse anime della città, come avviene per esempio con i Corpi intermedi di Rebbio, è per esempio una finalità; costruire relazioni positive e dare ai propri abitanti le competenze per gestire i conflitti in modo positivo e costruttivo è la risposta a un altro tipo di bisogno. Tutto questo, partendo dai valori cardine della giustizia riparativa e lasciando lo spazio di definizione a livello delle singole città».
Capire il contesto
Bisogna partire dunque dalle esigenze specifiche dalle comunità. Capire il contesto è il punto di partenza, è fondamentale. A Rebbio, per esempio, i conflitti si ripetevano nonostante le persone e le generazioni cambiassero, la domanda allora è stata: come far sì che alcuni conflitti che si ripetono da anni non si ripetano più? Occorreva trovare modalità di gestione più efficaci. Altra premessa è capire qual è il capitale sociale su cui far leva: non è un soggetto che costruisce la città riparativa ma tutte le città riparative hanno alla base network, reti sociali riconosciute che in Italia chiamiamo “Tavoli”. A Bristol c’è una rete formale, così come a Leuven dove ha uno statuto giuridico. Occorre avere soggetti riconosciuti con cui lavorare. Se la società civile è sviluppata è più facile, altrimenti il tempo di creazione sarà molto più ampio. L’altro fattore importante è se il processo di costruzione della città riparativa si avvia nel momento di conflitto intenso oppure se ci sono conflitti latenti che non si vedono. Chi e come coinvolgo? Ho bisogno di un soggetto esterno? Per agire devo capire che tipo di conflitti ci sono, quanto è interesse dei soggetti lavorare su quei conflitti. Ugualmente importante è capire quali sono le visioni di giustizia degli abitanti e come si approcciano al tema.Un altro aspetto da tener presente è che sia che il processo si sviluppi dal basso sia che invece provenga dall’alto, alto e basso devono a un certo punto trovare un ponte e stare insieme, diversamente è più difficile influenzare le politiche della città. Se parto dall’alto il rischio è che dove ci sono conflitti che coinvolgono l’ente pubblico io non riesco ad avviare il processo perché la gente non si fida. La fiducia è fondamentale e va costruita. Efficace è agire con chi ha autorevolezza ed è riconosciuto dalla comunità, se il promotore è ancorato nella comunità i cittadini si fidano, riconoscono la sua competenza e il valore degli interventi precedenti.
C’è bisogno di risorse
Non c’è un momento in cui si può dire ok, ora siamo città riparativa, – conclude Cristina Vasilescu – le persone cambiano è un processo dinamico, la città non è un corpo astratto stabile si modifica continuamente è un processo di evoluzione continua. E per operare efficacemente c’è bisogno di risorse, questa è la nota dolente in tutte le città non solo in Italia, è un tema che ritorna in tutti i racconti anche oltre l’Europa. Se voglio città riparative devo investire continuamente e tenere il faro sulle pratiche e sull’aspetto generale culturale.
Leggi l’articolo completo sul sito CVSlombardia.it: Come costruire città riparative
Per approfondire consulta la guida:
A journey around restorative cities in the world: a travel guide(pdf)
Cristina Vasilescu. È esperta in: analisi e valutazione di politiche pubbliche, con particolare riferimento alle politiche europee; governance; innovazione della pubblica amministrazione europea, nazionale, regionale e locale, con particolare riferimento ai sistemi di management e valutazione delle performance, ai sistemi di accountability e all’implementazione di processi partecipativi; ricerca finanziamenti locali, regionali, nazionali ed europei; redazione e gestione progetti in risposta a bandi europei (ad esempio, H2020, bandi della DG REGIO/DG EMPL/DG JUST/DG ECFIN, del Parlamento Europeo, di EIGE/FRA, etc) ed italiani; costruzione di partnership internazionali e gestione delle relazioni con i committenti.
Cristina Vasilescu è Ambasciatrice Erasmus+ EDA in Lombardia.
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